MANIFESTO DELLE PAROLE MUSICALI FUTURISTE ALFABETO IN LIBERTÀ Dopo il manifesto sulla « Distruzione della sintassi - immaginazione senza-fili - parole in libertà » pubblicato l’11 maggio 1913, oggi affermiamo che una rivoluzione totale nel campo linguistico è poeticamente possibile. La poesia deve essere schiodata dalle travature della letteratura consuetudinaria, liberandola dalle espressioni convenzionali della lingua, per rifarsi con parole nuove inventate e modulate dal poeta. Il futurismo italiano, ricco di una trentennale esperienza parolibera-rumorista, crea oggi le PAROLE MUSICALI: rivoluzione linguistica destinata a creare una nuova forma di poesia tipicamente musicale, sgravata dai significati legali e non contaminata dalle traduzioni, una poesia che conceda al nostro piacere primitivo la sua vocalità pura. Dopo mezzo secolo di vivaci esperienze artistiche e dotati di un rinnovato senso estetico — più complesso, ed allargato dallo sviluppo della civiltà meccanica, siamo arrivati al punto di superare la parola catalogata per godere la poesia dei suoni vocali, dei rumori e le conseguenti orchestrazioni fonetiche che da questi derivano e nelle quali lo spazio-pausa gioca il suo primario ruolo di armonia compositiva. Le parole musicali vanno godute con una sensibilità aerea cioè musicalmente indefinita, misteriosa, infinita e dinamica dove suoni e rumori isolandosi e sovrapponendosi, variando nel timbro e nel volume, diventano significativi, ammonitori, minacciami, suadenti ecc. indipendentemente dagli elementi naturali o meccanici che li suggeriscono. Abolito quindi ogni adagiamento sulla poltrona troppo soffice della terra dove la gravidanza culturale di 7000 anni distende la civiltà della ragione e dei simboli. Secoli di tradizione hanno ridotto la poesia ad un corteo di parole strascicanti sulle stampelle dei significati ortopedici e troppe consuetudini hanno tormentato i poeti entro le fosse del periodo e li hanno imbottigliati con l’obbligatorietà della cronaca psicologica e il peso della retorica. Finalmente abbiamo ridato alla parola il suo spazio musicale puro. Le parole in libertà e l’aeropoesia hanno raggiunto alte quote ma la sete di novità e originalità è inesauribile. Ora con un’acrobazia paradossale bisogna riportarsi alle origini e ascoltare nell’urlo del nuovo uomo primitivo la prima voce del poeta delle macchine. Come il pittore inventa i toni cromatici così il poeta crea e modula le proprie parole e nel creare le sinfonie vocali se ne vale di esse come un compositore. Il naturale progresso e lo sviluppo linguistico della civiltà, come il notevole contributo di suoni-rumori datoci dalle macchine e dalla tecnica nei tempi più recenti, ci hanno portati a questo punto. L’uomo primitivo nel lanciare le prime grida creò istintivamente dei suoni che erano in diretto rapporto col fenomeno al quale si riferivano. L’espressione fonetica della parola nasceva dalla natura: vento tuono dolore risa onde acque alberi silenzio calore fuoco valanga ecc. sono le fonti primitive delle parole e della lingua. Accanto a queste parole naturali, ben presto altre ne sorsero, costruite non più dall’istinto ma dalla ragione. Ogni parola ebbe sotto tutela un proprio significato, ogni razza nel proprio clima fece da sè, le parole si incrociarono e non coincisero più: erano nate le lingue e con le lingue la poesia. Al nascere del suono vocale in funzione di parola, nacque contemporaneamente la litania e il canto ritmato segnando così sin dall’inizio il formarsi della musica e della poesia. Più tardi l’invenzione degli strumenti rese la musica completamente autonoma ma la poesia non abbandonò mai la sua veste musicale, anche se misurata con i compassi della logica e guidata dalle rotaie dei vocabolari su traversine di versi e di rime. Si era sentito il bisogno d’impostare le parole secondo leggi di armonia creando la rima e il verso obbligato, cioè il suono inquadrato in ritmi e cadenze. Anche fuori dal verso la poesia non si scostò dalla musica vocale e strumentale, anzi si associò ad essa e a volte si fuse creando, tra le varie forme liriche, il recitativo: primo tentativo verso una lingua musicale. Il verso libero, ribellione alla poesia a passaggi obbligati, per la conquista di un’atmosfera sinfonica e preludio alla polisinfonia delle parole in libertà nelle quali, sintesi di analogie simultanee, onomatopeiche, astrazioni fonetiche, parole ripetute annodate o prolungate, contrasti di tempi, raggiungono particolari sonorità, assenti in ogni altra espressione linguistica. Dal ritmare cadenzato delle origini, al melodico verseggiare e sino alle sinfonie crepuscolari vi è tutta una sottile trama musicale che si lacera paurosamente col rumorismo di Marinetti. La poesia può ora buttare a mare tutto il suo carico di letteratura filosofumi simboli contorsioni linguistiche, immagini stereotipate, tradizioni formali e riacquistare, con una più agile e profonda ricerca nelle forze della natura e della tecnica, i valori delle sue espressioni vocali. Quindi: 1.— Portare la distruzione nell’arcaismo dei vocabolari (rigide permutazioni delle lettere su schemi logici) e dare il via alle parole nuove (accordi vocali) generate e scoperte dalla sensibilità lirica individuale. Il poeta deve essere libero di forgiare le proprie espressioni poetiche. Sempre nuove e non catalogabili, esse assumeranno i caratteri del suo temperamento per variare nel tempo e nello spazio secondo una legge di perenne trasformazione e superamento. 2.— Le parole musicali sono una sequenza di accordi generati dalle sempre nuove varie infinite combinazioni di vocali, consonanti e invenzioni fonetiche. L’onomatopea che nasce dalla vita dei fenomeni e che è l’espressione spontanea dell’emotività, deve perfezionarsi in un lirismo musicale che renda più agile l’autonomia della parola. 3.— Le parole musicali, liberate da ogni burocrazia letteraria e investite da un sempre più originale slancio lirico che porti con sè la personalità dell’autore, troveranno, come ogni opera musicale, comprensione e integrazione nel clima di qualsiasi nazione di qualsiasi popolo di qualsiasi lingua. Il titolo sarà la sola guida e basterà ad eliminare qualsiasi equivoco derivante dalle differenze razziali e culturali. 4.— Le parole musicali esigono la declamazione. La lettura muta, non potendo liberarsi dall’aridità dei pentagrammi musicali, concede unicamente il piacere plastico delle forme tipografiche. Soltanto una dizione che unisca alla sensibilità musicale una ricchezza di mezzi vocali e rumoristi ed una intensità emotiva, può sviluppare un’atmosfera di sonorità poetiche. La declamazione assurgerà quindi ad arte specialissima, liberata dalla bravura dei professionisti del palcoscenico e dall’enfasi elefantiaca dei conferenzieri. 5.— Per una più perfetta orchestrazione della dizione, si manifesta possibile l’utilizzazione di effetti musicali e rumoristi ricavati con qualsiasi strumento e mezzo, scelto dall’autore e fornito dalla tecnica e dall’esperienza concertistica teatrale e radiofonica. Sarà questa la più giusta valorizzazione dell’arte dei rumori di L. Russolo e la sua più naturale simbiosi con la musica e la poesia. 6.— Le parole musicali trovano nelle tavole parolibere futuriste, già attuate da Marinetti, Soffici, Carrà, Buzzi, Depero e altri il loro più avanzato sviluppo e la loro più consona applicazione nella stampa. Fuori dall’impaginatura tradizionale, le parole musicali potranno adattare la loro fisionomia grafica al lirismo architettonico della boscaglia dando cosi ad ogni lettera e ad ogni parola particolare spazio forma volume colore e materia. Segni musicali e indicazioni grafiche completeranno l’impaginatura consentendo, come un normale spartito, entro certi limiti un’esatta interpretazione. 7.— Noi futuristi sentiamo che con la nascita delle parole musicali s’inizia un nuovo periodo della poesia. Consci di questo principio invitiamo i giovani poeti rivoluzionari a svellere dal loro istinto, soffocato forse dalla troppa cultura di questo secolo, le immagini canore della sensibilità primitiva che cova nell’intimo dell’uomo. T. Crali - F. T. Marinetti Venezia, 4 febbraio 1944. Milano 7/7/1979 Questo manifesto da me proposto a Marinetti e con lui discusso per la stesura definitiva purtroppo non fu mai pubblicato a causa del trasferimento del poeta da Venezia a Como e della sua morte. Sono rimate due copie: una nell’archivio Marinetti e una da Crali. Con il manifesto vi sono anche alcune composizioni di « parole musicali » sia di Marinetti che di Crali. Questo manifesto non fu mai dato alle stampe anche se alcune parti sono apparse in tesi di laurea. Crali