REALTÀ ED ASTRAZIONE dal volume in preparazione: „Scienza e lirica della mia pittura” di Depero Tanto si discute sul problema artistico di questi due aspetti di vedere e di sognare. Infiniti sono i tormenti che soffrono gli artisti al bivio di queste due strade opposte. Per me il problema pare abbastanza afferrabile. Anzitutto, credo ad una base fondamentale, alla realtà giornaliera, che tutte le mattine vedo dalla, finestra, che tutte le sere godo in salotto e sul tavolo, che spesso vivo in campagna, nelle grandi metropoli e sulle alte e meravigliose alpi del mio Trentino. Dunque credo negli alberi, nelle nubi, nel sole, nelle montagne. Credo nei treni, negli aeroplani, nei transatlantici, nei grattacieli che mi si presentano colorati, plastici, trasparenti o solidi, costruiti, bizzarri ed imponenti ; prodotti sfolgoranti di madre natura e prodotti artificiali di sapienti forze umane. Abbraccio un platano giallo-arancio-verde, incandescente al sole d’autunno, quale mosaico d’oro su di un cielo del più celeste azzurro. Mi inginocchio davanti ad un arditissimo ponte di cemento armato, lanciato con spavalda audacia sopra un burrone profondo, quale sostegno ai velocissimi treni espressi. Reverentemente mi tolgo il cappello davanti alle impressionanti dinamo gigantesche. Allargo le braccia stupefatto ai piedi delle dolomiti e dei grattacieli. Tutta la realtà che mi circonda la vivo con appassionato amore naturalistico e pagano. Naturalmente non sono un viaggiatore che in treno dorme, ma tengo sempre il naso incollato ai vetri per afferrare i paesaggi fuggenti e le più svariate e colorate folle internazionali; le prospettive fumanti e notturne delle stazioni. Non sono un alpinista cieco, ma sempre affamato di nubi, di roccie, di boschi dai mille colori. Non attraverso l’Atlantico rimpiangendo la mia terra, ma tuffando il mio sguardo nel mare, nei mutevoli gorghi, nelle ballanti onde, nelle effervescenti schiume cangianti. Non disprezzo i grattacieli ed i treni sotterranei sognando la casetta solitaria e la quiete montana, ma ammirando le abitazioni nelle altitudini e le velocità sotterranee. Insomma vivo la realtà immediata, vera e brutale, varia, con piacere intenso, con anima di pittore e poeta futurista. Sovrappongo alla realtà materiale i colori della mia gioia, le trasparenze della mia felicità, l’ironia e la maschera della mia giocondità. La realtà diventa irreale all’occhio dell’artista. La natura magicamente si trasforma. Rimane chiara, piana, logica, ma cambia abito, diventa una natura inventata, saltante di festa e piacevolissima a guardarsi. Essa diventa di proprietà stilistica dell’artista, creata di suo gusto e somigliante alla sua immagine. Il problema della realtà e dell’astrazione non mi pare eccessivo o tremendamente difficile da attaccare. Anzitutto importante è di vederla la realtà, poi di saperla interpretare, in terzo luogo e tempo saper rendere l’interpretazione con originalità espressiva, convincente cioè con chiarezza ed evidenza. Immagini limpide come l’acqua. Disegno chiaro come i fiori. Precisione costruttiva come quella delle macchine. Spazio-spazio-aria-aria. Colori lavatissimi al sole. Lucentezza delle prospettive e degli ingranaggi, visibili e splendenti come nelle automobili e negli aeroplani. Odio tutto quello che è sporco, mal dipinto e caotico. Il senso del quadro è tanto più magico in quanto è chiaro. L’immagine, la forma interpretata è tanto più potente in quanto la sua chiarezza è cristallina e metallica. La realtà intesa dai pittori abituali, passatisti, è una realtà offensiva, piatta, sdruscita, superficiale, spiaccicata, spennellata, sporcaticcia, manieristica, tormentata, arzigogolata, senza visione né intenzione. I sassi devono essere duri, le case devono avere autentici spigoli e non delle pennellate, i mobili devono essere costruiti, incastrati. Le acque devono far gorghi autentici, scorrere dentro e fuori trasparenti, gli alberi devono uscire torniti dalla tela; il cielo lassù e laggiù in fondo; le montagne hanno gobbe e burroni profondi e non sfumature ed incertezze. Così io intendo la realtà. ■ Intendiamoci, l’artista deve capire la realtà alla sua maniera. Ad esempio io sono giocondo, ottimista, veloce, e così intendo la natura : giocondamente, ottimisticamente, velocemente. Quanta gioia provo nel dipingere case azzurre, rosse, lilla, alberi gialli, nuvole verdi, acque nere e celesti. Arbusti di corallo, fiori inventati. Vacche ben tornite, cavalli plasmati nella velocità, insetti ingranditi e costruiti. Faccie con i colori di carnevale, bei nasi fiammanti, belle gote celesti, bei occhi sprizzanti luci di metallo e d’amore. Il dono di ricolorare, ringagliardire, riallegrare la natura, forse un po’ monotona è veramente una grazia divina. Sono anche molto attratto e felicemente elevato dalle infinite e meravigliose forze astratte dell’universo e dalle forze ideali astratte del nostro spirito. Negare le forze della realtà, sarebbe un grande errore. Negare le forze astratte, sarebbe altrettanto grave errore. Le prime servono di base, di ispirazione e di comunicazione. La realtà è il linguaggio comune per intenderci ed è la vita che ci circonda. Le seconde, cioè le forze astratte, sono quelle che elevano, trasformano la realtà in fantasia, in idealità, in velocità, in divina aspirazione, in felicità sublime, in magica opera d’arte. Venni illuminato nella mia gioventù romana dal grande maestro Giacomo Balla, scopritore ed iniziatore della pittura astratta. Nel 1916 anzi ci definimmo pittori astrattisti. Per due interi anni mi dedicai da allora con ardore alla pittura della velocità, agli equivalenti plastici, alla pittura dei rumori. E chissà non sia stato oltre che alla mia salvezza artistica anche la mia salvezza corporale, perché la realtà più nera, le privazioni più dure, la realtà più dolorosa mi corrodeva dai piedi ai capelli. Il tifone futurista mi strappò ed elevò turbinando. Mi ubriacò di nuove forze, mi lanciò verso nuovi ideali. Al futurismo la mia gratitudine. Benché io mi senta figlio delle mie durissime rocce, testardo, cocciuto come i muli, semplice, alpestre, a volte vegetariano, a volte carnivoro, a volte bevitore, camminatore sempre, uomo realista in pieno assetto, con i piedi di piombo, con muscoli solidi addosso, con occhi chiari e cervello sano, sempre di ottimo appetito, mi sento anche giornalmente animato dalle più belle forze astratte che Iddio ci abbia regalato: La fede, l’entusiasmo, il lirismo, la velocità. Sulla bandiera che tengo fitta nella mia spina dorsale, questi nomi vi sono stampati e ricamati con la più alta passione. Essa garrisce superando in altitudine il Monte Bianco e lo stesso Himàlaia asiatico. C’è anzi qualcuno che mi dice oriundo dai più elevati altopiani del Tibet, per i miei zigomi, per gli occhi tagliati a virgola, astuti come quelli dei topi, per il naso rapace di avvoltoio ecc.... Se ci sarà una parvenza asiatica fisionomica non lo so, nè me ne importa, certo è che dentro di me una forza creativa mediterranea colorata c’è, una forza di aspirazione costruttiva salda c’è, un trasporto verso ogni ideale astratto elevatore c’è. Negare le forze astratte all’uomo vuol dire renderlo terra e bestia. Negare le forze astratte ad un artista vuol dire escluderlo dall’arte. Evitare le bellezze astratte in un quadro vuol dire renderlo tela imbrattata di materia. Evviva la potenza delle forze astratte dello spirito, che idealizzano, velocizzano e ricreano l’universo, la vita e la realtà quotidiana. FORTUNATO DEPERO S.E. Marinetti nel Trentino, numero unico, Rovereto 1932