Contro il teatro morto Contro il romanzone analitico Contro il negrismo musicale Manifesto futurista La nostra ridente estate segnò purtroppo una recrudescenza di passatismo che si manifestò con spettacoli tediosi di teatro morto all’aperto. Fatta eccezione per alcune prodigiose trasfigurazioni di capolavori come l’Edipo Re dovute a Romagnoli noi condanniamo questa necrofilia letteraria nella ringiovanita Italia Imperiale proiettata in avanti dal Duce. Basta con la mobilitazione di ruderi e urli di Agamennone lai di Egisto strilli di Clitemnestra disgrazie degli Atridi discorsi dei Sette contro Tebe propinati a un pubblico boccheggiante in un pantano di noia, Muffa sbadigli stiramenti di braccia e nessuno capisce per quale ragione quei personaggi si disperino tanto. Dialoghi ansiosi di spettatori «Chi è quello là?» «Cosa fa quella lì?» «Cosa gli è successo al vecchio barbone?». I nostri archeologhi teatrali si fanno forti di una espressione del Duce interpretata a loro comodo «Teatro di masse» «Andare verso il popolo»: 1) Da tempo il Duce chiarì ogni cosa stabilendo l’urgenza di costruire teatri capaci di contenere razionalmente migliaia di persone incassi redditizi a prezzi accessibili per le più umili categorie sociali. 2) D’altra parte nulla è più lontano dalle grandi masse degli spettacoli di teatro morto i quali presuppongono assurdamente una preparazione libresca nel piccolo borghese nell’operaio e nel contadino. 3) I nostri archeologhi teatrali e quelli che parlano di risanare il teatro portandolo all’aperto cadono nella vecchissima illusione di risolvere difficoltà attuali col ritorno all’antico e dimenticano che gli spettacoli d’oggi lasciano il pubblico insoddisfatto perché non abbastanza moderni e quindi noiosamente statici in teatri senza palcoscenico girante. 4) Neghiamo che l’anfiteatro antico possa ospitare un’opera teatrale moderna né ispirare un dramma originale a un autore d’oggi questi essendo soltanto stimolatile dalla possibilità di scrivere per un teatro accuratamente elettromeccanico. Aggiungiamo che per disadatti che siano i teatri esistenti non lo saranno mai quanto i ruderi adorni di secoli. 5) Gli spettacoli del teatro morto zona d’incontro fra un culturalismo esibizionista e uno snobismo aristocratizzante egualmente fuori fase nella semplice veloce popolaresca grande Italia fascista sono inattuali e nocivi per il pubblico e per gli autori e specialmente per gli attori che specializzandosi nei bombardamenti vocali greco-romani diventano tromboni e perdono ogni concentrazione ogni scioltezza ed ogni incisività. 6) Sono fuori strada quei registi che credono di poter scoprire nel rozzo e barbaro accozzo di personaggi privi di comodità passeggianti fra piagnistei corali e stiramenti di nottole inchiodate al muro materia adatta alle loro ambizioni invece di cercarla in un teatro perfetto del nostro perfetto urbanismo. 7) L’influenza del cinematografo sul teatro è provvidenziale poiché gli vieta di indugiare o retrocedere e lo costringe al progresso anche perché il pubblico rinnova ogni giorno la sua sensibilità nelle sale cinematografiche. Il teatro vivrà se inebriandosi di velocità e di raffinamento abbandona il pregiudizio di combattere con spadoni e alabarde contro mitragliatrici e carri armati. 8) Bisogna separare due espressioni che un equivoco ha. riunite «spettacolo classico» e «teatro all’aperto» poiché questi se munito di palcoscenico perfezionato fra piante e fiori diventa un ideale nostro piacere estivo tutto moderno. Concludendo la regia del teatro morto risente di molte influenze straniere e il suo stile improntato a un estetismo asessuale è di marca esterofila derivata dall’illustre e scocciantissimo Max Reinhardt. * * * Noi trasfiguratori e creatori di nuove realtà amici della sintesi tacitiana condanniamo il romanzone analitico che ignorando la indispensabile originalità di concezione l’indispensabile invenzione di tipi e l’indispensabile scelta di parole e gesti suggestivi anatomizza pedantescamente la vita qualsiasi di qualsiasi fesso in un ambiénte reso qualsiasi dalla mancanza d’ingegno selezionatore. Per farsi acquistare da certi lettori avaramente preoccupati di avere molto da leggere in compenso del loro denaro i romanzieri subiscono il grigio freddo coperchio di nuvole che dal nord scende favorevole ad uno spidocchiamento di rimorsi e pettegolezzi da mendicante stradale e soffocano sotto una abbrutente psicologia a lungo metraggio la nostra snella sintetica e dinamica arte di narrare all’italiana. Questi imitatori ed esageratori del monologo interiore e delle battute a parte delle vecchie commedie con lunghi vomiti freudiani di banalità siano relegati nella farmacologia come sonniferi sicuri da prescrivere con cautela. * * * Per dar posto ai musicisti italiani viventi e ai viventi creatori di comicità nostrana combattiamo egualmente l’umorismo funebre a pillole nere anch’esso venuto dal nord e l’asma funebre di ciò che si può chiamare il negrismo musicale ostinata melopea gemente rotta sincopatamente da canzoni e danze a stantuffo da cui sperammo 25 anni fa ma ora non speriamo più dovesse fiorire l’originalità: Pesa invece plumbea la monotonia nelle sale dei caffè-concerto nei balli eleganti e nei pranzi danzanti dove tutti pensano al suicidio quando il direttore d’orchestra credendosi rinnovato perché privo di bacchetta direttoriale si abbandona a lazzi nevrastenici di mani pederastiche per meccanizzare la falsa allegria dei suonatori. Basta basta basta. Piuttosto piuttosto evviva e avanti la tarantella con i virili strumenti musicali del Golfo di Napoli. Avanti la tofa conchiglia dalla quale si trae una melopea tragicomica a beffa della mitologia delle sirene e dei tritoni. Avanti il putipù o caccavella o pernacchiatore scodella di terra cotta coperta di pelle nella quale è confitto un giunco che rumoreggia buffonescamente se strofinato da una mano bagnata per ironizzare in barba ai raggi pioventi del chiaro di luna. Avanti lo scetavaiasse che ha per archetto una sega di legno ricoperta di pezzi di latta parodia geniale del virtuosismo e delle nebbiose sale di conservatorio. Avanti il triccabballacche lira di legno che ha per corde sottili aste terminate da martelli quadrati. Lo suonerete come i piatti aprendo e chiudendo le mani alzate che impugnano i due montanti. Tutto ciò con prorompente gioia a scorno del tetro negrismo musicale e dei deprimenti tanghi gemebondi. F. T. MARINETTI e B. CORRA 1938