NASCITA DI UN’ESTETICA FUTURISTA. (1913) Ma, certamente, numerose obiezioni si sono già accumulate nei vostri cervelli, contro il nostro principio distruttore e antitradizionale. Ne afferro una: « Quali sono, mi dite, le opere di pietra, di marmo o di bronzo, che voi potete opporre a quelle inimitabili che ci furono lasciate dai secoli defunti?» Vi rispondo semplicemente : 1° I capolavori del passato sono i soli superstiti di una innumerevole quantità di opere d’arte che scomparvero per causa della loro bruttezza o della loro fragilità. Voi non potete dunque domandarci di opporre i capolavori prodotti in una cinquantina d’anni al complesso selezionato delle opere create in una diecina di secoli. 2° Vi rispondo inoltre che fenomeni moderni quali il nomadismo cosmopolita, lo spirito democratico, e la decadenza delle religioni hanno resi assolutamente inutili i grandi edifici decorativi e imperituri che esprimevano, un tempo, l’autorità regale, la teocrazia e il misticismo. Fenomeni assolutamente nuovi come il diritto di sciopero, l’uguaglianza davanti alla legge, l’autorità del numero, la forza usurpante della folla, la rapidità delle comunicazioni internazionali, l’abitudine dell'igiene e delle comodità domestiche, rendono invece necessari dei grandi casamenti popolari bene aerati, dei treni di una comodità assoluta, dei tunnels, dei ponti di ferro, dei transatlantici enormi e veloci, delle ville sapientemente offerte, sulle colline, al fresco ventaglio degli orizzonti, delle sale d’adunanza smisurate e delle camere da toilette perfezionate per la cura rapida e quotidiana del corpo. L’estetica che risponde direttamente all'utilità, non ha alcun bisogno, oggidì, dei palazzi reali dalle linee domi-natrici e dalle basi granitiche, giganteggianti nel passato sulla piccola città medioevale, marea confusa di tuguri miserabili. A che scopo lanceremmo noi fino al cielo, nell'epoca nostra, i pinnacoli di quelle maestose cattedrali che salivano verso le nuvole giungendo le mani delle loro ogive, per difendere colla preghiera le piccole borgate accoccolate nell’ombra? Noi opponiamo loro l'estetica futurista assolutamente conquistata e definitiva delle grandi locomotive, dei tunnels a spirale, delle corazzate, delle torpediniere, dei monoplani e degli automobili da corsa. Noi creiamo la nuova estetica della velocità, noi abbiamo quasi distrutta la concezione di spazio e singolarmente diminuita la concezione di tempo. Noi prepariamo così l'ubiquità che l'uomo moltiplicato. Noi arriveremo così all'abolizione dell'anno, del giorno e dell'ora. I fenomeni metereologici ci precorrono perché ormai le stagioni sono già fuse. Il tragico ritorno annuo delle feste tradizionali va scolorandosi d'interesse. In Francia, in Italia, in Spagna, il nottambulismo del lavoro e del piacere non ha forse già quasi fuso insieme il giorno e la notte? Naturalmente, le opere nelle quali noi abbiamo espresso questo turbine di vita intensa rotolante verso l'avvenire ideale, non possono essere apprezzati e comprese dal pubblico scombussolato dalla nostra selvaggia irruzione è offeso dalla nostra violenza crudele. Esso le amerà più tardi. Intanto, comincia già ad essere disgustato di quelle che noi combattiamo. Noi abbiamo già provocato una crescente nausea per l'antico, pel tarlato e per l'ammuffito. Ed è già questo un risultato importante e decisivo. Leggeste nel nostro primo manifesto questa affermazione che ha sollevato un uragano di disapprovazione: « Un automobile da corsa è più bello della Vittoria di Samotracia ». Vi lascerò come un dono esplosivo quest'immagine che completa meglio il nostro pensiero: « Nulla è più bello dell' armatura di una casa in costruzione ». Ad una casa ben costruita, noi preferiamo l'armatura di una casa in costruzione coi suoi ponticelli color di pericolo — imbarcaderi di aeroplani —, con le sue innumerevoli braccia che graffiano e pettinano stelle e comete, coi casseri aerei da cui l'occhio abbraccia un orizzonte più vasto. L'armatura, col ritmo delle carrucole, dei martelli e dei cuori, e di tanto in tanto, — sia pure— il grido straziante e il tonfo pesante di un muratore che cade, grossa goccia di sangue, sul selciato! L'armatura di una casa in costruzione simboleggia la nostra ardente passione del divenire delle cose le cose realizzate e costruite bivacchi di sonno e di viltà, ci fanno schifo! Noi amiamo unicamente l'immensa armatura mobile e appassionata che sapremo consolidare ad ogni istante, sempre differentemente, secondo gli atteggiamenti mutevoli delle raffiche, col rosso cemento nei nostri corpi impastati di volontà. Tutto dovete temere dal passato ammuffito. Tutto dovete sperare dall'Avvenire. Abbiate fiducia nel progresso, che ha sempre ragione, anche quando ha torto, perché è il movimento, la vita, la lotta, la speranza. E guardatevi dal intentare dei processi al Progresso. sia pure impostore, perfido, assassino, ladro, incendiario, il Progresso ha sempre ragione. Ma è dall’Estremo Oriente, che ci giunge il più chiaro, il più violento dei simboli futuristi. Nel Giappone, si fa un commercio stranissimo: il commercio del carbone d’ossa umane, dacché tutte le fabbriche di polvere lavorano alla produzione di una nuova sostanza esplosiva, più micidiale di tutte quelle che finora si conoscono. Questa nuova terribile miscela ha per elemento principale il carbone d’ossa umane, che ha la proprietà di assorbire violentemente i gas e i liquidi. Perciò appunto, innumerevoli mercanti giapponesi vanno esplorando in ogni senso i campi di battaglia della Manciuria, imbottiti di cadaveri. Si fanno febbrilmente enormi scavi e mucchi altissimi di scheletri si moltiplicano in ogni punto di quegli ampi orizzonti bellicosi. Cento tsin (sette chilogrammi) d’ossa umane vengono pagati 92 kopeks. I mercanti giapponesi che dirigono questo commercio assolutamente futurista, non comprano crani, poiché questi, a quanto pare, non hanno le qualità necessarie. Quei mercanti acquistano invece, a grandi mucchi, tutte le altre ossa, per spedirle al Giappone, e la stazione di Benikou appare da lontano ai viaggiatori della Transiberiana, come una gigantesca piramide biancastra : scheletri d’eroi che non tarderanno ad esser pestati nei mortai dai loro figliuoli, dai loro parenti o dai loro concittadini, e brutalmente vomitati dalle artiglierie laggiù, lontano, contro eserciti nemici... Gloria all’indomabile cenere dell’uomo, che rivive nei cannoni! Plaudiamo, amici miei, a questo nobile esempio di violenza sintetica. Plaudiamo a questo bello schiaffo che colpisce in faccia tutti gli stupidi coltivatori di orti-celli sepolcrali. Presto ! Per liberar le strade, si caccino in fretta nelle gole dei cannoni tutti i cadaveri amati e venerati ! O, meglio ancora, che essi aspettino il nemico cullandosi mollemente nelle graziose torpedini galleggianti, offrendo la loro bocca piena di baci mortali. Si avrà un numero sempre maggiore di cadaveri. Tanto meglio ! Cresceranno anche, sempre più, le materie esplosive, e questo gioverà assai al nostro mondo tanto floscio ! In alto la bandiera futurista ! Sempre più in alto, per esaltare la volontà aggressiva e obliosa dell’uomo e per affermare, ancora, la ridicola nullità del ricordo nostalgico, della storia miope e del passato morto. Vi sembriamo troppo brutali ? È perché noi parliamo sotto la dettatura d’un sole nuovo, che non è certamente il sole che accarezzava le spalle placide dei nostri nonni, dai passi lenti saggiamente distribuiti secondo le pigre ore delle città di provincia dai selciati erbosi di silenzio. Noi respiriamo un’atmosfera che a loro sarebbe parsa irrespirabile. Non abbiamo più tempo da perdere a pregare sulle tombe! E, d’altronde, come potremmo farci comprendere dalle loro anime lente, che somigliano assai più all’anima di Omero che non alla nostra? Nei prossimi inevitabili conflitti dei popoli, vincerà quello che avrà la più profonda coscienza di questa differenza. Vincerà il popolo più geniale, più elastico, più agile, più dimentico, più futurista, e quindi più ricco. Quanto a noi futuristi italiani, non vogliamo che l’Italia sia messa in istato d’inferiorità, alla vigilia di questa formidabile lotta. Ed è perciò che noi gettiamo in mare il greve carico del passato che appesantisce il suo scafo agile e bellicoso. F. T. Marinetti, Guerra sola igiene del mondo, Edizioni di Poesia, Milano, 1915