Noi rinneghiamo i nostri maestri simbolisti ultimi amanti della luna. Noi abbiamo sacrificato tutto al trionfo di questa concezione futurista della vita. Tanto, che oggi odiamo dopo averli immensamente a-mati, i nostri gloriosi padri intellettuali : i grandi geni simbolisti Edgard Poe, Baudalaire, Mallarmé, e Mallarmé e Verlaine. Noi serbiamo loro rancore, oggi, di aver nuotato nel fiume del tempo, tenendo continuamente rivolta indietro la testa, verso la lontana sorgente azzurra del passato, verso il «ciel intérieur où fleurit la beauté». Per quei geni non esisteva poesia senza nostalgia, senza evocazione di tempi defunti, senza bruma di storia e di leggende. Noi li odiamo, i Maestri simbolisti, noi che abbiamo osato uscir nudi dal fiume del tempo e creiamo nostro malgrado, coi nostri corpi scorticati sulle pietre dell’ascesa dirupata nuove sorgenti di eroismo che cantano, nuovi torrenti che drappeggiano di scarlatto la montagna. Noi siamo rossi e amiamo il rosso : occhi e guancie arrossati dai riverberi dei forni delle locomotive, e amiamo e cantiamo il trionfo sempre crescente della macchina che essi maledivano stupidamente. I nostri padri simbolisti avevano una passione che noi giudichiamo ridicola : la passione delle cose eterne il desiderio del capolavoro immortale e imperituro. Noi consideriamo invece che nulla sia basso e meschino quanto il pensare all’immortalità nel creare un’opera d’arte, più meschino e più basso della concezione calcolata e usuraia del paradiso cristiano, che dovrebbe ricompensare al milione per cento le nostre virtù terrestri. Bisogna semplicemente creare, perché creare è inutile, senza ricompensa ignorato, disprezzato, eroico in una parola. Alla poesia del ricordo nostalgico noi opponiamo la poesia dell’attesa febbrile. Alle lacrime della bellezza che si china teneramente sulle tombe, noi opponiamo il profilo tagliente, affilato, del pilota, dello chauffeur e dell’aviatore. Alla concezione dell’ imperituro e dell’ immortale, noi opponiamo, in arte, quella del divenire, del perituro, del transitorio e dell’effimero. Noi trasformeremo così in una gioia acuta il nevermore di Edgard Poe, ed insegneremo ad amare la bellezza di una emozione o di una sensazione in quanto essa è unica destinata a svanire irreparabilmente. La storia, agli occhi nostri, è fatalmente una falsariga o, tutt’al più una miserabile collezionista di francobolli, di medaglie e di monete contraffatte. II passato è necessariamente inferiore al futuro. Noi vogliamo che così sia. Come potremmo riconoscere dei meriti al più pericoloso dei nostri nemici : il passato, lugubre mèntore, tutore esecrabile ? Ecco come noi rinneghiamo lo splendore ossessionante dei secoli aboliti e come collaboriamo con la meccanica vittoriosa che tien chiusa la terra nella sua rete di velocità. Noi collaboriamo con la Meccanica a distruggere la vecchia poesia della distanza e delle solitudini selvaggie, la squisita nostalgia della partenza a cui noi sostituiamo il tragico lirismo dell’ubiquità e dell’ onnipossente velocità. La nostra sensibilità futurista, infatti, non si commuove più davanti al cupo mistero d’una valle inesplorata, di una gola di monti che noi immaginiamo, nostro malgrado, attraversati dal nastro elegante di una strada bianca, dove bruscamente s’arresta, tossendo, un’automobile scintillante di progresso e piena di voci civilizzate, angolo di boulevard accampato in mezzo alla solitudine. Ogni bosco di pini pazzamente innamorato della luna, ha una strada futurista che lo attraversa da parte a parte. Il regno semélice e gemebondo della pianta dai lunghi soliloqui è finito. Con noi comincia il regno dell’uomo dalle radici, tagliate, dell’uomo moltiplicato che si mescola col ferro, si nutre di elettricità e non comprende più altro che la voluttà del pericolo e l’eroismo quotidiano. Ciò basti a dirvi come noi disprezziamo i difensori dell’estetica del paesaggio, stupido anacronismo. Cartelloni multicolori sul verde dei prati, ponti si ferro che incatetino runa all’altra le colline, treni chirurghi che trapassino il ventre azzurro dei monti, enormi tubi delle turbine, nuovi muscoli della terra, siate lodati, voi, dai poeti futuristi, poiché distruggerete la vecchia sensitività morbosa e tubante della terra! Con simili passioni, con simili furori novatori, come volete che noi possiamo accettare la concezione artistica della nostra Italia contemporanea ? Per troppo tempo l’ Italia ha subito l’influenza estenuante di Gabriele D’Annunzio, fratello minore dei grandi simbolisti francesi, nostalgico come questi e come questi chino sul corpo ignudo della donna. Bisogna ad ogni costo combattere Gabriele D’Annunzio, perché egli ha raffinato, con tutto il suo ingegno, i quattro veleni intellettuali che noi vogliamo assoluta-mente abolire : 1° la poesia morbosa e nostalgica della distanza e del ricordo ; 2° il sentimentalismo romantico grondante di chiaro di luna, che si eleva verso la Donna-Bellezza ideale e fatale ; 3° Possessione della lussuria col triangolo dell’adulterio, il pepe dell’ incesto e il condimento del peccato cristiano ; 4° la passione professionale del passato e la mani delle antichità e delle collezioni. Noi rinneghiamo ugualmente il sentimentalismo balbuziente e botanico di Pascoli, che, nonostante il suo genio indiscutibile, resterà nondimeno colpevole d’avere esercitato un’ influenza avvilente e deleteria. Siamo ben lieti, infine, di non aver più da bere lo stomachevole caffè e latte di sacrista del nostro deplorevole Fogazzaro. Noi accettiamo soltanto l’opera illuminate dei quattro o cinque grandi precursori del Futurismo. Alludo a Emilio Zola, a Walt Wihtman, a Rosny Ainé, autore del Bilateral e della Vague Rouge, a Paul Adam, autore del Trust, a Gustave Kahn, creatore del verso libero, a Verhaeren, glorificatore delle macchine e della tentacolare Il lirismo futurista, essenzialmente mobile e mutevole, come pur il dinamismo pittorico dei pittori futuristi Boccioni, Carrà, Balla e Severini, esprime con una velocità continua il nostro io, che si crea con una incessante ispirazione. Il lirismo futurista, perpetuo dinamismo del pensiero, corrente ininterrotta d’immagini e di suoni, può, solo, esprimere l’effimero, instabile e sinfonico universo che si fucina in noi e con noi. È il dinamismo della nostra coscienza malleabile, interamente realizzata; l'io integrale cantato, dipinto, scolpito indefinitamente nel suo perpetuo divenire ; un succedersi di stati lirici che esclude ogni idea parnassiana d’esteriorità reciproca d’estenzione : Ecco la grande strofa orchestrale dei versi liberi futuristi. All’arte astratta, statica e formale noi opponiamo un’arte di movimento continuo, di lotta aggressiva di velocità. Alle affermazioni imperative dell’intellettualismo dogmatico, noi rispondiamo gridando : « Vogliamo demolire i Musei, le Biblioteche !... Ben sappiamo ciò che la nostra bella e mendace intelligenza ci afferma ! Noi vogliamo udire ! Gloria allo spirito poetico, la facoltà che Edgardo Poe chiama la più sublime di tutte, poiché dette verità di altissima importanza non potevano esserci rivelate altrimenti che mediante quell'analogia la cui eloquenza irrecusabile per V immaginazione non dice nulla alla ragione inferma e solitaria (Dialogo di Mènos ed Una). Al determinismo scettico e pessimista, noi opponiamo quindi il culto dell’ intuizione creativa, la libertà dell’ ispirazione e l’ottimismo artificiale. Al chiaro di luna nostalgico, sentimentale o lussurioso, noi opponiamo infine l’eroismo ingiusto e crudele che domina la febbre conquistatrice dei motori. F. T. MARINETTI Futurista al fronte L'Italia Futurista, a. II, n.25, Firenze, 5 agosto 1917